Luca Toni è stato protagonista di un campionato stellare: capocannoniere della serie A con Mauro Icardi
E poi arriva lui, Luca Toni (Ph. www.parlandodisport.it). Trentotto anni suonati, compiuti in settimana, e ventidue reti segnate nella stagione appena terminata. Ventidue gol son tanti, ragazzi. Ma Luca Toni ha provato a farne anche di più. L’anno del Mondiale vinto con la maglia azzurra, nel 2006, l’ariete modenese ne aveva messi a referto trenta con la Fiorentina. Segno questo che per fare gol ci vuole un talento. Che non basta pensare si tratti di fortuna, non basta pensare che “guarda come è grande la porta e piccolo il pallone”. Non è lecito pensare che trovarsi al posto giusto al momento giusto non sia indice di immensa bravura.
La storia di Luca Toni è la storia di una Fenice, di chi rinasce quando tutto sembra finito. Dopo il periodo al Bayern Monaco e il ritorno meno fortunato in Italia con Genoa, Roma e Juventus, Luca Toni si era spostato a Dubai, con la maglia dell’Al- Nasr. E, diciamocelo, quando un giocatore campione del Mondo decide di andare negli Emirati, tutti pensano le stesse cose: “lo ha fatto per sodi” e “è finito“. Bene, finito un bel niente, invece.
Torna in Italia con la maglia della Firoentina prima, e con quella del Verona poi. E quest’anno, la butta dentro 22 volte, eguagliando Mauro Icardi dell’Inter (che di anni ne ha 22, 16 in meno di Toni), e superando uno come Carlito Tevez (20 gol), nel duello diretto di un Verona-Juventus all’ultima giornata che si chiude con un gol di Luca Toni al 93′ per il pareggio finale.
Non solo. Durante Verona-Juve, a Tevez il rigore lo para il portiere del Verona Rafael che esulta con quel segno della mano a scrocchiare l’orecchio (quasi a dire “non sento”), ormai diventato simbolo del compagno Luca Toni che lo fa con piacere tutte le volte che va in gol. Un omaggio al suo capocannoniere, al suo compagno.
Una storia di sport parecchio bella anche questa: di chi non ha nessuna intenzione, e soprattutto voglia, di smettere di giocare a calcio.
Così come la vita strettamente personale, anche la vita sportiva ha le sue ere: l’era dell’infanzia dove lo sport lo si fa per gioco, sognando per gioco, ma credendoci davvero. Alzandosi al mattino presto per calciare al muro (o per tirare a canestro che sia), convinti un giorno di imitare i grandi campioni delle figurine e della televisione e di scrivere la storia. Poi arriva l’era della maturitrà, durante la quale si continua a sognare, consapevoli però che non si tratta più di un gioco, ma di un investimento fatto in tenera età che, si spera, porterà dei frutti. Una carriera di fatto breve e fugace come quella di chi decide di cercare gloria partendo dalla propria fisicità, e quindi, indicativamente, dalla propria giovinezza. Sapendo a priori che questa carriera, per la quale si è dato tanto, durerà molto poco rispetto all’aspettativa di vita lavorativa degli altri mestieri. Un’era che, inevitabilmente, si vive con un pizzico di apprensione, di fretta, di voglia di vincere. E poi, infine, c’è l’era della gioia verissima, quella della consapevolezza. Quella di Luca Toni. Che passa per un periodo caratterizzato dal desiderio di rivincita verso chi credeva fosse giunta la fine. E arriva, finalmente, all’era del gioco più puro. Come durante l’infanzia sportiva. Quando si sognava a suon di sacrifici. La differenza con l’era dell’infanzia, è che nell’era della gioia il sogno lo si vive da dentro, che i sacrifici non sono più tali. Che si gioca ancora. Forse, solo per il gusto di giocare. Di restare un po’ bambini.
Complimenti a Luca Toni e Mauro Icardi!