Dionigi_Cappelletti_Basket_Carrozzina

Intervista a Dionigi Cappelletti neo-allenatore della Nazionale: gioventù, grinta e la prima telefonata…

Il nuovo tecnico della nazionale italiana di basket in carrozzina arriva da Cantù, ha 47 anni e si chiama Dionigi Cappelletti. Una nomina in parte attesa, visto che Cappelletti dal 2010 era assistente alla panchina italiana, prima al fianco di Malik Abes (con cui ha disputato gli Europei di Israele nel 2011) e poi di Clifford Fisher, esonerato al ritorno dalle Paralimpiadi di Londra. Per il prossimo quadriennio, Cappelletti avrà il compito di preparare la nuova squadra italiana in vista dell’appuntamento clou, Rio 2016. Una bella sfida, un ruolo molto delicato perché arriva in un momento di transizione del gruppo azzurro atteso da un cammino di ringiovanimento. Di tutto questo, delle speranze e dei progetti, di filosofia del basket e di ambizioni, abbiamo parlato con il diretto interessato. (Foto Dino Merio)

 

Cappelletti, cosa si prova a essere il nuovo allenatore dell’Italia?

L’emozione è grandissima, come si può immaginare. È un ruolo davvero molto prestigioso, soprattutto in Italia dove il basket in carrozzina è molto popolare e ha grande tradizione, tra gli sport paralimpici. Farò del mio meglio per esserne all’altezza”.

 

Quando ha saputo la notizia?

Domenica scorsa, al termine della riunione federale, il presidente Fernando Zappile (riconfermato con il 98% dei voti per il quadriennio 2013-2016, ndr) mi ha chiamato per darmi la comunicazione ufficiosa di questa nomina. Le prime persone che ho chiamato sono state Carlo Recalcati, mio amico fraterno, il mio maestro, e Alfredo Marson, presidente della Briantea84, a cui devo l’incontro con il basket in carrozzina”.

 

Cosa le hanno detto?

Recalcati mi è stato sempre vicino in questi mesi, sapeva di questa possibilità di promozione e faceva il tifo per me. Era anche lui entusiasta della notizia, è un caro amico, umanamente il numero uno. Marson era contento, a lui ho detto che quando finirò la mia carriera vorrei farlo nella sua società, dove tutto è iniziato. Mi ricordo bene lo scudetto vinto nel ’92 e poi quel viaggio a Sheffield per giocare la finale della Coppa Campioni: perdemmo contro gli olandesi del Bc Verkerk, una grossa delusione ma anche una bellissima esperienza”.

 

Come gestirà ora la nazionale? Che strada pensa di intraprendere?

“Questo gruppo è molto valido ma va sicuramente condotto verso un progressivo ringiovanimento. Ci sono ottimi giocatori che ancora hanno molto da dire, gli stessi che abbiamo visto a Londra qualche mese fa. Ma alcuni grandi campioni sono in dirittura d’arrivo ed è giusto costruire l’alternativa che possa portare l’Italia a competere a tutti i livelli”.

 

Si guarda ai giovani, quindi?

Certo, il vivaio della nazionale Under 22 è molto promettente. Con il tecnico Marco Bergna, con cui ho collaborato nel 2010 in occasione degli Europei, c’è una grande intesa sotto questo punto di vista. Ma cercherò di coinvolgere in maniera attiva anche i club: la nazionale italiana è un patrimonio di tutti e tutti devono portare il loro mattone. A partire dai giocatori, che devono capire una cosa semplice: vestire la maglia azzurra non è un punto di arrivo, serve impegno e grande sacrificio. Se non vedrò questi requisiti, nessuno avrà le porte aperte”.

 

Qual è la ricetta Cappelletti? Cosa pensa di portare umanamente a questa nazionale?

Alleno da molti anni, ho iniziato negli anni ’90 con il settore giovanile della Pallacanestro Cantù e poi sono passato alla prima squadra, affiancando veri monumenti del basket italiano come Frates, Lombardi, Sacco, Recalcati. Ho capito che senza cuore e passione non si va da nessuna parte. La tecnica conta fino a un certo punto. Oggi alleno la squadra femminile del Basket Mariano Comense e la soddisfazione più grande la ricevo dagli avversari, quando ci dicono che abbiamo una grande grinta e non ci arrendiamo mai. Questo voglio che sia il motto tutti i miei giocatori”.

 

Si dedicherà a tempo pieno alla nazionale?

“Impossibile, il basket in carrozzina non ha i finanziamenti di altri sport. Manterrò il mio lavoro di assicuratore e tutto il resto del tempo sarà dedicato alla pallacanestro. Per fortuna ho una famiglia che mi sostiene, che è felice con me per questa nuova sfida e che non fa pesare le mie assenze. Senza di loro non potrei fare quello che faccio”.

 

Obiettivi futuri e primi impegni?

“Vedrò la squadra per la prima volta in occasione dell’All Star Game, in programma nel primo weekend di febbraio in una sede ancora da stabilire. Da lì inizieremo il nostro cammino insieme. Non ho la bacchetta magica e quindi so che ci vorrà tempo: non dovremo avere grosse ambizioni per gli Europei del 2013 ma sicuramente dovremo farci trovare pronti per quelli del 2015. E poi ci sono le Paralimpiadi di Rio, dove vogliamo arrivare da protagonisti”.

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