E’ con grandissimo piacere che riceviamo e pubblichiamo questo primo #VettoMomento. Che cos’è un #VettoMomento? Semplice: un momento – appunto – in cui Luca Vettori decide di raccontare qualcosa. A modo suo, per altro. L’opposto di Modena e della Nazionale di pallavolo italiana ha tirato fuori dal cilindro un pezzo di scrittura di rara curiosità. Che si complimenta, che prende spunto, che dà spunti. #DaLeggere, insomma.
Ph. Elena Zanutto
Salve a tutti,
mi è stato chiesto di scrivere un pezzo per la Schiacciamisto5 Enterteinement, e, nonostante io ormai sia di casa, mi sento ospite e mi comporterò in quanto tale.
Perciò con sorriso ammiccherò alle parti amiche che questo blog galattico conserva e contiene; precisamente ci si riferisce alla Piano Revolution Association ed all’Elena Zanutto Enterprise. Spero di riuscire con il caro entusiasmo a coinvolgere ed intrattenere.
Proprio di questo si parlerà. Dell’importanza del racconto.
Ognuno a proprio modo, attraverso la propria forma, decide un giorno di raccontare storie. Per cui, senza scomodare Erodoto, Tucidide e Senofonte, che sono in realtà proprio i maestri ed i pionieri del racconto e della storiografia, approderò già subito al modus raccontis di Matteo ed Elena (si dice fabula, lo so, si chiama autoironia).
Ebbene, v’è la narrazione entusiastica di Matteo, il suo sguardo pieno che rintraccia le orme più minute di discorsi universali tipo sole – cuore – amore, e che riesce a scamparne sempre con soddisfazione ed incredulo sorriso. Una scrittura vocale, direi, come se parlasse, leggendolo mi pare di sentire la sua voce.
E v’è invece la narrazione di Elena, vivace, attenta e decisiva: la fotografia, ormai specializzata, ormai un monopolio, sta divenendo un impero nelle sue mani. Il suo racconto coglie le preziose e sfuggenti emozioni, concentra ciò che lei vede e ancor più ciò che lei sente.
Si tratta dunque di narrazioni, quella di Matteo e quella di Elena, che si scontrano con grandi e complessi concetti/grandi e complessi ambienti, eppure scelgono di non ritrarre l’orizzonte in toto, l’insieme ampio, ma ne scelgono con minuzia ed attenzione i varchi precisi, semplici, i più vicini al loro essere.
Scelgono entrambi di parlare del poco. Narratori dell’essenziale raccontano storie, le loro, con vicinanza e discrezione.
E perciò, con garbo, ma anche con provocazione astuta, arrivo al dunque e mi rivolgo a chi della pallavolo fa racconto: ai cantastorie della diretta, agli oratori ed agli speaker che inventano slogan, nomi, epiteti, eroi, proprio come i rapsodi dei poemi epici.
Come coinvolgere il pubblico, come incantarlo, come avvinghiarlo?
Attraverso l’abilità del racconto.
Ci sarà indubbiamente chi più e chi meno bravo: quello più effervescente, quello più tecnico, quello più simpatico. Ma in ogni caso è necessario raccontare. E ci si astenga dal giudizio, dal commento, dal gossip, dal becero sarcasmo, dall’infondata saccenza. È necessario raccontar storie belle, fatte di gesta positive, tecnicamente ed umanamente, perché se no la gente si leva dal banchetto e rapsodo ed eroi se la contano tra loro.
Ed ancora una volta, si ricordino ben tutti, questo oral creato è in realtà reale, gli eroi dai nomi stellati non sono eroi immaginari bensì persone, atleti, si, ma pur tuttavia uomini e donne. E ricordiamocene di questo, al di là del gesto tecnico, della battaglia, dell’errore e dell’armatura, noi esistiamo e non viviamo solo nella cortina dell’oralità. Di questo debbono ricordarsene gli addetti al racconto.
Se dobbiamo raccontare, facciamolo con sussurro e non grido.
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Grazie Umberto, grazie Elena, grazie Matteo.
Mi sorprendo spesso, piacevolmente stupita da quanta verità/realtà si riesca a percepire tra le sue parole. Infatti tra le semplici e anche divertenti, descrizioni di due personalità, trova spazio la sensibile percezione del “cantastorie della pallavolo” circa l’animo umano, denunciandone con discrezione, il rispetto.
Ecco che un racconto, che ha lo scopo d’intrattenere piuttosto che istruire, con scioltezza e direi colta leggerezza, riesce comunque a lasciare un’impronta costruttiva sul concetto di persona, oggi più comodamente intesa come semplice figura, piuttosto che come reale essenza.
Bel racconto! 🙂