Come si può vivere imprigionati nel proprio corpo da una malattia che appare terribile solo leggendo il suo nome (la sclerosi laterale amiotrofica, più conosciuta con l’acronimo di Sla Fondazione e non a caso definita dall’interessato Stronza), per giunta dopo essere stato un calciatore di alto livello, capace anche di realizzare un gol fondamentale per consentire alla sua squadra di aggiudicarsi un’edizione di quella che allora era ancora chiamata Coppa dei campioni? Lo spiega Stefano Borgonovo, nel suo volume autobiografico che ha scritto insieme ad Alessandro Alciato, giornalista di Sky: un volume in cui, pagina dopo pagina, il racconto della parabola agonistica si alterna con i dettagli della scoperta della patologia, che poco alla volta ha costretto a letto l’ex centravanti brianzolo fino a due anni fa, quando ha salutato il suo mondo nella commozione generale di chi ha lottato fino al triplice fischio. Colpisce il lettore l’intensità della narrazione: un’intensità che è figlia della volontà di Borgonovo di sensibilizzare il più possibile la popolazione sul dramma che chi è soggetto ad una condizione come questa e la sua famiglia sono chiamati a sopportare, volontà che è alla base della nascita della fondazione che porta il suo nome e lavora, grazie all’impegno mai domo della moglie Chantal, che riveste il ruolo di presidente, per trovare fondi che finanzino la ricerca scientifica. Il canovaccio ha tuttavia il merito di allentare la tensione con i flashback inerenti una carriera che, forse, non ha garantito all’interessato quanto inizialmente si sarebbe aspettato, ma che gli ha comunque regalato momenti indimenticabili: si va così dall’incontro giovanile con Giovanni Trapattoni, che gli predisse un futuro roseo come atleta, al debutto da professionista a Como, dal rapporto di amore con Firenze e la Fiorentina, i cui tifosi ancora oggi ricordano il binomio con Sua Maestà Roberto Baggio. Tanti gli aneddoti che conquistano per la loro sincerità e simpatia. Da leggere, commuoversi, ridere.
FRAMMENTI
«Sono arrivato allo stadio comunale, camminavo nel lungo corridoio verso gli spogliatoi, in lontananza ho visto due persone che aspettavano proprio me: il Trap con al suo fianco Platini. La mente ed il braccio, il genio e la sua fotocopia: «Stefano, quel giorno a Giussano ci avevo visto giusto. A proposito, lo conosci questo signore vicino a me? Sa tutto di noi, gli ho raccontato la nostra storia». «Sì, Mister, certo che lo conosco: è il vostro massaggiatore, vero?». A Platini è scappato un sorriso, massima espressione di felicità concessa ad un francese in Italia» (pagina 27).
«Dovevamo incontrarci di nuovo, non si poteva fare altrimenti. Chantal intanto aveva smesso di parlare, mai successo. Neanche un accenno a quella stranissima giornata. Lo sguardo era fisso, direi assente. Addirittura, durante il viaggio di ritorno verso casa, non aveva acceso lo stereo della macchina. E dire che di solito mia moglie, una canzone, non la negava mai a nessuno. A lei, il professore aveva detto una cosa in più. A lei aveva detto che mi rimaneva un anno di vita» (pagina 54).
«Si è presentato davanti a me con un passo deciso, si vedeva che già allora aveva una marcia in più. Il problema era quel cappello posato sulla testa, da cowboy texano, con le stringhe ai lati. Gli regalava altri venti centimetri di altezza. Mi è arrivato vicinissimo, mi ha fissato negli occhi, ma il primo a parlare sono stato io: «Buongiorno, presidente, è venuto a cavallo?». Vitali ha iniziato a barcollare, come quei calciatori del Subbuteo con la base tondeggiante che non cadono mai: fosse svenuto, non mi sarei sorpreso. Un direttore sportivo imbalsamato. Berlusconi ha continuato a fissarmi, l’ha presa benissimo» (pagina 60).
«Lo alzo e sgrano gli occhi, perché questo – e non di più – mi è concesso, e la gente che sta intorno a me se ne accorge. Ho imparato ad apprezzare ciò che mi è rimasto. Gli amici, le sensazioni positive, qualche raro movimento. Prendo il buono della vita e mi sento comunque fortunato, so che addirittura c’è chi ha meno di me. Quindi rido» (pagina 62).
«Vivere o morire? Vivere o morire? A dirla tutta, scegliere è stato meno complicato del previsto. Perché se uno ci pensa bene, se è lucido abbastanza per capire, scopre che la vita è la cosa più bella che esista, non ci sono difficoltà o Stronze che tengano. È unica, in ogni circostanza. Una vita che nasce. Una vita che cresce. Una vita che soffre. Una vita che genera un’altra vita. Una vita da amare. Una vita da salvare, attaccandola ad un respiratore, inserendo un palloncino nella trachea. La mia vita. Certo che voglio andare avanti, la domanda in fondo era stupida. Ho chiuso gli occhi, per tanti secondi, tenendoli ben stretti. Mi sono addormentato. Felice» (pagina 117).
«Io e Chantal lottiamo per tutto questo. Per dare una speranza a gente come me, che sono uguale a tutti gli altri malati. Né più vip né più sfigato. Uguale da ogni punto di vista. Stesse gioie (poche ma buone), stesse delusioni, stessa sofferenza. La speranza è l’ultima a morire, quindi chiedo al Signore di non farmi classificare troppo distante dal penultimo. Sarebbe già un risultato interessante» (pagine 140 e 141).
LEGGIBILITÀ: scorrevole. Coinvolto pagina dopo pagina dal messaggio di speranza che emerge tra le righe, il lettore è portato a divorare in men che non si dica il testo.
ROMANTICISMO: elevato, ma nei limiti del buon gusto. La gravità della condizione dell’autore non viene nascosta, ma solo addolcita dalla sua tenace volontà di rimanere aggrappato alla vita. La sua vita.
MOLE: di media entità. Il numero delle pagine, centosessantacinque in tutto, è tale da consentire a tutti di incamminarsi serenamente sulla strada della lettura.
PER CHI È QUESTO LIBRO: per chi ha conosciuto Borgonovo giocatore e magari ha esultato per un suo gol. Ed anche per chi non lo ha conosciuto, ma vuole conoscere più da vicino quanto devastante, per sé e per gli altri, possa essere una malattia come la sclerosi laterale amiotrofica. La Stronza.